Ci sono storie che ci interrogano profondamente. Storie che non parlano solo di singoli individui, ma dell’intera coscienza di un Paese. Quella di Enzo Tortora è una di queste. È la storia di un uomo perbene, colto, sensibile, amato da milioni di italiani per il suo volto familiare e il suo stile sobrio, elegante, garbato. Un simbolo della buona televisione, dell’informazione pulita, dell’Italia che crede nei valori civili.
Nel 1983, tutto questo venne travolto da un’onda di fango: Enzo Tortora fu arrestato all’alba, davanti alle telecamere, accusato di associazione camorristica e traffico internazionale di droga. Le accuse erano gravissime, ma infondate. Si basavano su dichiarazioni false e contraddittorie di alcuni “pentiti di camorra”, in particolare Giovanni Pandico e Pasquale Barra, che lo coinvolsero senza alcuna prova concreta. Tra gli “indizi” più assurdi, venne citata perfino una nota trovata su un’agendina dove era scritto “Tortona” – che fu scambiata per “Tortora”.
Iniziò così un calvario giudiziario durato anni, che mise a nudo non solo l’errore giudiziario, ma anche la brutalità di una macchina mediatica e giudiziaria che, senza verifiche, può distruggere la vita di un uomo innocente. Tortora passò sette mesi in carcere, fu travolto dal dolore, dalla vergogna pubblica, dalla solitudine. Ma non si piegò. Con forza e coraggio, affrontò il processo con dignità, lottando per dimostrare la sua totale estraneità ai fatti.
Nel 1986 arrivò finalmente l’assoluzione in Appello, confermata in via definitiva nel 1987. Ma il danno era fatto. Il corpo e lo spirito di Enzo Tortora erano stati segnati in modo irreparabile. Morì il 18 maggio 1988, a soli 59 anni, a causa di un tumore. Oggi, a 37 anni dalla sua scomparsa, molti, a ragione, ritengono che quella malattia fosse anche la conseguenza dello stress devastante, del dolore subito, dell’ingiustizia patita.
Le sue parole, pronunciate in aula, sono rimaste nella memoria civile italiana:
“Io sono innocente. Lo gridò con tutte le mie forze. Lo urlò. Sono innocente.”
Parole che ancora oggi ci risuonano dentro. Perché Enzo Tortora non fu solo una vittima, ma un simbolo. Il simbolo di ciò che può accadere quando la giustizia perde il senso della misura e si dimentica dell’essere umano. Il simbolo della forza di chi, pur nella tragedia, non rinuncia mai alla verità. Il simbolo di una battaglia che non riguarda solo lui, ma tutti noi, perché nessuno è al riparo da un errore giudiziario.
Ricordare Enzo Tortora non è solo un atto di memoria, è un dovere civico. È ricordare che la libertà, la giustizia, la dignità della persona non sono mai scontate. Che servono vigilanza, coscienza, e la capacità di indignarsi. Sempre.
A Enzo Tortora, con rispetto, dolore e gratitudine.