Nel dibattito pubblico contemporaneo si tende a dividere il mondo politico in due grandi campi: progressisti e conservatori. Da un lato, chi invoca il cambiamento, l’uguaglianza, l’apertura; dall’altro, chi difende l’ordine, la tradizione e la prudenza. Tuttavia, questa distinzione risulta sempre più insufficiente per descrivere visioni più complesse, come quella liberaldemocratica, che sfugge a questa classificazione binaria. Il pensiero liberaldemocratico si fonda sulla centralità della persona, sulla libertà individuale, sulla tutela dei diritti civili, sul pluralismo e sulla difesa dello Stato di diritto. Ma al tempo stesso riconosce il valore delle istituzioni, della legalità, della responsabilità, del merito e della stabilità sociale. Non abbraccia l’utopia del cambiamento per il cambiamento, ma neanche la nostalgia paralizzante per un passato idealizzato. La posizione liberaldemocratica è quindi al tempo stesso riformista e prudente, aperta al progresso ma critica verso gli eccessi ideologici, attenta alle esigenze del presente ma consapevole dei legami con la storia. Questo equilibrio, tutt’altro che facile, è spesso percepito come ambiguità o debolezza, ma in realtà è frutto di una scelta consapevole e razionale: quella di evitare gli estremi, di privilegiare la complessità rispetto alla semplificazione, di promuovere una cultura del dialogo invece di una logica dello scontro. In questo senso, chiedersi se i liberaldemocratici siano progressisti o conservatori è forse meno utile che riconoscere la loro specificità: quella di chi non si accontenta degli slogan, di chi difende con fermezza le libertà ma anche i doveri, di chi sa che la democrazia liberale richiede manutenzione quotidiana, mediazione, ascolto e rigore. Non si tratta di un “centro” neutro o passivo, ma di una posizione attiva, che prende sul serio la responsabilità di tenere insieme valori diversi in una società complessa. In tempi di polarizzazione, può sembrare una scelta poco eroica. Eppure, forse è proprio questa sobrietà del pensiero, questa fedeltà a una visione equilibrata e aperta, a rappresentare oggi una delle forme più coraggiose di impegno politico. Non per essere né progressisti né conservatori, ma per essere liberi e democratici nel senso più pieno e consapevole del termine.
Un applauso al mio amico Massimo per questa lezione politica. Mentre leggevo il titolo pensavo: già, perché questi li chiamano ancora progressisti. Vedono il futuro come se il mondo si fosse fermato a 50 anni fa, ma li chiamano progressisti. Il bello è che invece chiamano conservatori anche quelli che guardano più avanti. Per non parlare poi del termine riformisti, che mi fa venire la pelle d’oca se penso al suo significato originale che riguardava una fascia del marxismo.