In un recente tweet, Beppe Grillo mostra il volto di una ragazza che, dice, “non esiste”. È frutto dell’intelligenza artificiale di Google: basta un prompt, e l’IA genera un video “più vero del vero”. Poi la domanda retorica: “Siamo pronti ad affrontare un mondo in cui vedere non significa più credere?”
Un dubbio legittimo, certo. Ma letto da chi ha fondato un movimento politico basato su promesse irrealistiche e narrazioni illusorie, suona quasi provocatorio. Perché prima che l’IA iniziasse a generare volti, c’è stato chi ha generato consenso sfruttando illusioni ben più dannose.
Beppe Grillo non ha avuto bisogno della tecnologia per creare realtà alternative. Gli è bastato un palco, un blog e un microfono. Ha costruito un movimento politico proponendo soluzioni semplici a problemi complessi, e ha fatto credere che bastasse “mandare a casa tutti” per risolvere ogni cosa.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: un’Italia più fragile economicamente, culturalmente impoverita, e politicamente sfiduciata. Il Movimento 5 Stelle ha promesso trasparenza, onestà, rivoluzione democratica. Ha invece consegnato il Paese all’improvvisazione, ha bloccato infrastrutture strategiche, alimentato sfiducia verso la scienza, favorito una deriva populista e confusa.
E non è solo una questione politica. Le loro proposte hanno letteralmente fatto saltare per aria i conti pubblici, provocando danni economici concreti, di cui stiamo ancora pagando le conseguenze. A questi si aggiungono i danni culturali, legati alla sistematica diffusione di fake news, teorie del complotto e disinformazione, spesso mascherate da “controinformazione”.
L’intelligenza artificiale può certamente alterare la percezione del reale. Ma è bene ricordare che anche la politica può farlo, e con effetti ben più duraturi. Grillo ha costruito il successo del suo movimento sull’arte di semplificare, di contrapporre, di gridare. Ha fornito risposte facili a domande complesse. E ha convinto milioni di persone che fosse tutto vero, quando in realtà si trattava di una narrazione artificiale, altrettanto “finta” di quei video generati dall’IA.
Oggi ci ammonisce: “Attenzione, ciò che vedete potrebbe non essere reale.” Ma l’inganno più pericoloso è proprio quello che si nasconde dietro parole seducenti, slogan efficaci e promesse irrealizzabili.
Purtroppo, il populismo e i suoi danni non scompaiono con la sola uscita dal Governo. Le fratture che ha lasciato sono profonde e visibili: nei conti pubblici, nel dibattito pubblico, nella sfiducia verso le istituzioni. Non basta che se ne siano andati. Bisogna iniziare a fare davvero i conti con quello che hanno lasciato.
Inoltre, quando in televisione sento parlare l’ex Premier Giuseppe Conte (due volte a Palazzo Chigi, non dimentichiamolo), mi viene il mal di stomaco. A sentirlo, sembra un marziano appena atterrato da un altro pianeta, come se nulla di ciò che è accaduto in quegli anni lo riguardasse. Nei suoi discorsi, l’ipocrisia si taglia con il coltello.
Eppure è stato protagonista e garante di molte delle scelte più discutibili di quel periodo. Oggi parla con toni da statista, ma dimentica – e vorrebbe far dimenticare – la responsabilità politica di chi ha alimentato illusioni, generato instabilità e contribuito alla deriva economica e sociale del Paese.
Se vogliamo imparare a difenderci dalle illusioni digitali, iniziamo col riconoscere quelle politiche. Perché le prime possono confonderci per qualche secondo. Le seconde, purtroppo, ci condizionano per anni.
L’unica differenza è che l’IA lo fa gratis.