C’è un fantasma che ancora oggi si aggira tra gli uffici pubblici italiani, nei corridoi delle istituzioni, nei meandri delle imprese e perfino nella vita quotidiana dei cittadini: la burocrazia. Non quella necessaria, che garantisce ordine e legalità. Parliamo di quella asfissiante, inefficiente, ripetitiva, che blocca, rallenta, soffoca.
Un male antico, ma non incurabile. Serve coraggio, serve una visione. Serve liberalismo unito ad adocrazia.
Il liberalismo moderno, nella sua accezione più alta, è fiducia nell’individuo, apertura all’innovazione, difesa della libertà personale e responsabilità diffusa. Ma come possiamo difendere la libertà, se l’apparato amministrativo intrappola l’energia civile in un labirinto di timbri e moduli?
Come possiamo stimolare l’iniziativa privata e pubblica, se ogni proposta di cambiamento affonda nella palude dei “permessi”, dei “procedimenti” e dei “nulla osta”?
La risposta può venire da un’idea tanto potente quanto ancora poco esplorata nel nostro paese: l’adocrazia.
L’adocrazia è un sistema fluido, dinamico, orizzontale, basato sul merito, sulla competenza e sulla rapidità d’azione. A differenza della burocrazia, non organizza il potere sulla base della gerarchia e della rigidità, ma sulla capacità di affrontare problemi reali, costruire soluzioni e adattarsi al cambiamento.
In un sistema adocratico, i ruoli non sono statici: si formano team intorno ai progetti, alle sfide, ai bisogni. Le persone non si definiscono per l’ufficio in cui lavorano, ma per ciò che sanno fare e per come collaborano. È una filosofia operativa basata sulla fiducia, non sul controllo ossessivo.
Ecco perché l’adocrazia è la naturale alleata del liberalismo: entrambi rifiutano il dogma dell’autorità fine a sé stessa, credono nell’autonomia, nell’innovazione, nella responsabilizzazione. Entrambi mettono al centro la persona.
Immaginiamo un’Italia in cui l’amministrazione pubblica sia realmente al servizio del cittadino. Un’Italia dove chi vuole aprire un’attività non debba scontrarsi con settimane di attese e regolamenti oscuri, ma trovi risposte semplici e rapide. Dove chi lavora nella scuola, nella sanità o nei servizi sociali possa contribuire con creatività, senza essere prigioniero del “si è sempre fatto così”.
Un’Italia in cui le istituzioni sappiano formare task force su bisogni reali, e non semplicemente spostare scartoffie da una scrivania all’altra.
Questa trasformazione non è solo tecnica, ma culturale. Serve una rivoluzione silenziosa che parta dal basso, dalla politica locale, dai comuni, dai cittadini, ma anche da una classe dirigente coraggiosa che abbia il coraggio di snellire, delegare, fidarsi, aprire.
Serve un nuovo patto liberal-democratico tra istituzioni e società: meno vincoli e più responsabilità; meno autorità e più autorevolezza; meno procedure e più risultati.
La sfida, oggi, è decidere se vogliamo continuare a essere un paese dove le idee muoiono nei faldoni, o un paese in cui il talento trova spazio e riconoscimento.
Liberalismo e adocrazia sono la chiave per aprire la porta di un’Italia più giusta, più libera, più veloce.
Non si tratta solo di efficienza, ma di dignità.
Chi ha a cuore la libertà non può più difendere la burocrazia. Chi vuole il progresso, deve scegliere il coraggio di cambiare.