Dopo la farsa, serve serietà

Quello a cui abbiamo assistito negli ultimi giorni è stato un esempio perfetto di cosa non dovrebbe mai essere la politica. I referendum promossi dalla CGIL, sostenuti da Elly Schlein e celebrati con enfasi populista e disinformazione, hanno rappresentato non solo una sconfitta della politica dei contenuti, ma anche un grave passo indietro nel dibattito pubblico italiano.

Si è parlato di “libertà” e “diritti”, ma senza mai entrare nel merito. Si è fatto leva sull’emotività, sulla paura, su narrazioni forzate e distorte. Si sono agitati fantasmi per parlare alla pancia delle persone, ignorando volutamente i dati, la realtà dei fatti e le conseguenze delle proposte. È stato tutto troppo prevedibile: il copione della sinistra movimentista e sindacalizzata è sempre lo stesso, sempre uguale a se stesso, come se gli ultimi trent’anni non fossero mai esistiti.

La verità è che queste campagne non hanno niente a che fare con il miglioramento concreto delle condizioni di lavoro in Italia. Sono strumenti di mobilitazione politica, utilizzati per rinsaldare leadership in crisi, alimentare la tensione sociale e mantenere vivo un racconto vittimista che impedisce qualsiasi riforma seria. In un Paese già fragile e sfiduciato, questa è una scelta irresponsabile.

Chi conosce davvero il mondo del lavoro, chi vive l’impresa, chi è precario, chi è professionista, chi cerca una nuova opportunità o combatte ogni giorno per tenersi stretto un contratto sa perfettamente che certe promesse non sono solo vuote, ma anche dannose. Screditano le riforme possibili, ostacolano i processi di innovazione, frenano gli investimenti, generano diffidenza e sfiducia verso ogni forma di rappresentanza istituzionale.

Noi non siamo sostenitori del Governo Meloni. Non lo siamo stati ieri e non lo saremo domani. Non possiamo ignorare le sue contraddizioni, le sue derive stataliste, i suoi tentennamenti sulle riforme economiche, il suo approccio a volte muscolare e poco inclusivo. Ma siamo abbastanza onesti da riconoscere che la cosiddetta “alternativa” proposta oggi da una certa sinistra è ancora più preoccupante: perché non ha visione, non ha proposta, non ha il coraggio della modernità.

Si cerca consenso facile, si alimenta il rancore sociale, si parla una lingua vecchia con parole nuove. E tutto questo non può bastare. Non può essere credibile. Non può rappresentare il futuro dell’Italia.

Noi crediamo che sia necessario e urgente ricostruire un campo liberaldemocratico, riformista, pragmatico. Un campo che metta al cnentro la libertà individuale, l’equità delle regole, la giustizia sociale costruita sul lavoro vero, sul merito, sull’impresa, sull’innovazione, sulla scuola, sulla conoscenza. Non una politica che promette sussidi, ma una politica che crea opportunità. Non una politica che alimenta la dipendenza, ma una politica che allena all’autonomia.

Non sarà facile. Anzi, sappiamo benissimo che sarà durissima. Parlare di liberalismo in un Paese polarizzato tra paura e nostalgia è un atto di coraggio. In un’Italia dove tutto si consuma nello scontro tra tifoserie, dove i progetti faticano a emergere e le idee vengono sommerse dalla propaganda, la nostra voce potrà sembrare fuori dal coro. E forse lo è. Ma è una voce necessaria.

Perché non vogliamo essere la voce del meno peggio. Non vogliamo restare prigionieri dell’eterno voto utile o del voto contro. Vogliamo costruire qualcosa che duri, che serva, che risponda. Un luogo dove ci si confronta, non ci si insulta. Dove si ragiona, non si semplifica. Dove la politica torna a essere una cosa seria, faticosa, onesta.

Per questo il 28 e 29 giugno sarà un passaggio fondamentale. Il Congresso del Partito Liberaldemocratico sarà il momento in cui daremo forma più chiara alla nostra identità politica, rafforzeremo le nostre strutture, ci guarderemo negli occhi e definiremo insieme dove vogliamo andare e con quali strumenti. Non sarà una vetrina, non sarà una passerella. Sarà un punto di partenza.

Noi non abbiamo risposte facili. Ma abbiamo domande giuste. E la volontà di affrontarle senza scorciatoie, senza paura, senza calcoli. Non siamo qui per occupare spazi, ma per aprire possibilità. Non vogliamo costruire un piccolo recinto identitario, ma allargare il campo delle scelte per tutti coloro che non si riconoscono né nella destra sovranista né nella sinistra assistenzialista.

Ci rivolgiamo a chi ha deciso di non votare più perché si sente tradito da tutte le parti. A chi lavora ogni giorno per costruire qualcosa, anche senza tutele. A chi crede che l’Italia possa tornare a essere un Paese aperto, moderno, efficiente, civile. A chi ha ancora fiducia nella libertà, nella giustizia, nella democrazia liberale.

Sappiamo che non sarà una corsa facile. Ma sappiamo anche che vale la pena correre. Perché il Paese ha bisogno di più politica, non di meno. Di più competenza, non di più propaganda. Di più responsabilità, non di più paura. Di più libertà, e non di nuovi vincoli mascherati da diritti.

Noi ci siamo. E ci saremo. Con serietà, con dedizione, con tenacia. Perché questa è l’unica politica che conosciamo. E l’unica politica in cui crediamo.

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