Un atto decisamente da condannare

Durante la manifestazione svoltasi oggi, 21 giugno 2025, a Roma, nel contesto dell’iniziativa “Stop Rearm Europe”, si è verificato un episodio che solleva profonde preoccupazioni. Alcuni partecipanti hanno bruciato pubblicamente le bandiere della NATO, dell’Unione Europea e dello Stato di Israele, stampate su supporti cartacei e incendiate con l’ausilio di fumogeni. Il gesto è stato accompagnato da slogan come “a fuoco i simboli dell’oppressione” e si è svolto lungo il percorso tra Piazza Vittorio e i Fori Imperiali. Le immagini circolate e le testimonianze raccolte confermano l’intenzione deliberata di utilizzare la distruzione dei simboli come elemento centrale della protesta. La Digos ha avviato accertamenti per identificare gli autori materiali dell’atto. Episodi di questo tipo pongono interrogativi urgenti sul confine tra libertà di manifestazione e degenerazione ideologica. È legittimo e necessario criticare le politiche delle istituzioni internazionali, metterne in discussione le scelte, denunciarne eventuali storture. Ma è altrettanto necessario riconoscere che la distruzione simbolica delle bandiere – qualunque esse siano – non rappresenta un contributo utile al dibattito democratico. Bruciare una bandiera non è una forma di argomentazione, ma una dichiarazione di rifiuto assoluto, un atto che cancella ogni spazio per il confronto. La NATO e l’Unione Europea, pur tra contraddizioni, rappresentano un’architettura politica nata con l’obiettivo di garantire pace, stabilità e cooperazione tra Stati dopo secoli di guerre. Israele, al di là delle sue scelte di governo, è uno Stato riconosciuto internazionalmente e con una sua storia complessa, da analizzare e discutere, non da ridurre a un bersaglio da annientare simbolicamente. La bruciatura di queste bandiere, oltre a essere un gesto inutile dal punto di vista pratico, alimenta tensioni, radicalizza le posizioni e svuota di senso il concetto stesso di dissenso civile. Quando la protesta si esprime in forme incendiarie – anche solo a livello simbolico – non rafforza la legittimità delle rivendicazioni, ma le indebolisce, perché comunica solo rabbia e rifiuto. In una società democratica, la protesta è uno strumento essenziale, ma va esercitata con intelligenza, rigore, rispetto delle regole e del dialogo. Normalizzare l’uso del fuoco, anche se rivolto a simboli, rischia di creare un clima in cui la violenza, verbale e non solo, diventa accettabile. È doveroso, quindi, distinguere con chiarezza tra critica politica e gesti che sfiorano l’intimidazione. La condanna non deve essere strumentale o partigiana, ma basata sul principio che la libertà si difende proprio opponendosi a chi pretende di trasformarla in strumento di distruzione. Nessuna causa, per quanto sentita, giustifica il ricorso ad atti che evocano più la rottura violenta che il cambiamento costruttivo.

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