Quando la NATO dice che i paesi membri devono portare le spese militari al 5% del PIL, intende che ogni paese dovrà dedicare una quota significativa dei soldi che produce ogni anno (il PIL, cioè il valore totale di beni e servizi prodotti) a difesa e sicurezza.
Facciamo un esempio semplice: se un paese produce 100 miliardi di euro in un anno, il 5% significa spendere 5 miliardi per l’esercito, per l’acquisto di armi, per la tecnologia militare, ma anche per la sicurezza informatica e altre attività legate alla protezione nazionale, come la protezione civile.
Questo aumento delle spese serve a rafforzare le capacità difensive dell’Alleanza Atlantica, per essere più preparati a eventuali minacce o crisi. L’idea è che ogni paese contribuisca in modo più consistente, così da rendere la NATO più forte e coordinata.
Tuttavia, aumentare così tanto la spesa militare non è semplice. Significa trovare molti soldi in più rispetto a oggi, senza però tagliare troppo i fondi per servizi importanti come scuole, ospedali, pensioni e assistenza sociale.
Per questo alcuni paesi, come la Spagna, hanno chiesto più flessibilità su come calcolare questo 5%. Ad esempio, non tutto deve essere speso in armi e soldati: una parte può andare a progetti di sicurezza più ampi, come la lotta contro il cybercrimine o la gestione delle emergenze.
In sintesi, portare le spese militari al 5% del PIL vuol dire impegnarsi seriamente a rafforzare la difesa, ma allo stesso tempo cercare un equilibrio per non danneggiare la qualità della vita dei cittadini.