Gaza affamata, aiuti bloccati

Israele ha sospeso tutte le consegne di aiuti umanitari diretti alla Striscia di Gaza. I camion con cibo, acqua, medicine e carburante sono stati fermati. La decisione è arrivata in un momento drammatico: la popolazione civile, già colpita da mesi di guerra, è allo stremo.

Il blocco è stato imposto su richiesta di Bezalel Smotrich, ministro delle Finanze e figura di spicco dell’estrema destra israeliana. Smotrich ha minacciato di ritirare il suo sostegno al governo Netanyahu se gli aiuti non fossero stati interrotti. Secondo lui, Hamas li intercetterebbe per rafforzarsi.

Per evitare la crisi interna, Netanyahu ha accettato. Ha dato all’esercito israeliano 48 ore per elaborare un piano che garantisca la consegna sicura degli aiuti senza rischi di furti da parte di Hamas. Fino ad allora, però, tutto resta bloccato.

Nel frattempo, la popolazione civile paga il prezzo più alto. A Gaza la fame è già realtà. Nelle stesse ore in cui è arrivato l’annuncio del blocco, decine di persone sono state uccise nei bombardamenti mentre cercavano cibo presso i punti di distribuzione. Sono immagini che si ripetono da mesi.

Le Nazioni Unite e numerose ONG denunciano una situazione al limite della carestia. I bambini soffrono di malnutrizione grave. Le madri non hanno più latte. Molti si nutrono solo di acqua sporca e farina. La situazione sanitaria è catastrofica, quella umanitaria ancora peggiore.

Israele giustifica la sua decisione in nome della sicurezza nazionale. Ma la domanda etica è inevitabile: si può punire un’intera popolazione per il timore che un’organizzazione armata si approprî degli aiuti? E dov’è il limite tra difesa e punizione collettiva?

Un’alternativa esiste: si chiama Gaza Humanitarian Foundation. È un’iniziativa sostenuta da Israele e Stati Uniti per distribuire aiuti in aree selezionate. Ma è un sistema parziale, criticato per il suo approccio militarizzato e per l’accesso limitato ai bisogni reali della popolazione.

Il rischio, ora, è che la sospensione totale degli aiuti acceleri il collasso di Gaza. Ospedali distrutti, scuole abbattute, milioni di sfollati, e ora anche il cibo viene usato come arma.

La comunità internazionale tace, o parla sottovoce. L’attenzione mediatica cala. Gaza non fa più notizia, ma la crisi peggiora ogni giorno.

Eppure questa non è solo una questione geopolitica. È una questione di umanità. Quando l’accesso al cibo diventa oggetto di negoziazione politica, e milioni di civili vengono lasciati senza nulla, siamo davanti a un fallimento collettivo.

Non è più solo un conflitto armato. È un’emergenza morale.

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