Nel calcio professionistico, dove girano milioni di euro, sponsor, diritti televisivi e interessi enormi, verrebbe naturale pensare che l’unica cosa che conti sia vincere. A ogni costo.
Eppure, anche lì, nel regno del risultato, ci sono limiti invalicabili. Il doping, per esempio, è una scorciatoia infame. È la tentazione di arrivare primi barando. È tradire le regole del gioco, gli avversari, il pubblico e perfino se stessi. Non è solo una questione di regolamento: è una questione di dignità. E non c’è trofeo o gloria che possa giustificare quella rinuncia.
Se questo vale nello sport, dove ci si gioca la carriera e contratti milionari, quanto più dovrebbe valere in politica, dove ci si gioca la vita collettiva di un intero Paese? E invece, proprio lì dove servirebbero etica e coerenza più che mai, si assiste al contrario.
La politica italiana sembra aver adottato una logica sportiva distorta: vincere, comunque. Ma la politica non è una gara a chi arriva primo, non è il risultato che conta, ma il come ci si arriva. È un patto di fiducia con i cittadini, e quel patto richiede coerenza, visione, identità.
Oggi, nel nome della necessità di “fermare la destra”, si assiste a una rincorsa insensata verso ammucchiate elettorali prive di senso. Il centrosinistra propone alleanze che tengono insieme tutto e il contrario di tutto: liberali e populisti, europeisti e sovranisti pentiti, ambientalisti e industrialisti, moderati e radicali. Non c’è una visione comune, non c’è un’identità. C’è solo il riflesso pavloviano del “battere l’avversario”.
Ma mettere insieme percentuali non significa fare politica. Significa solo provare a occupare spazi. È come se una squadra di calcio, per paura di perdere, mettesse in campo undici giocatori che parlano lingue diverse e giocano con regole diverse. Il risultato non sarebbe una vittoria, ma il caos.
La coerenza in politica non è un lusso da anime pure, è il presupposto minimo per poter governare con serietà. Significa essere fedeli a sé stessi e trasparenti con gli elettori. Significa costruire alleanze sensate, basate su valori comuni, e non solo su strategie numeriche.
I governi costruiti con logiche opportunistiche durano poco, vivono nel conflitto permanente, si paralizzano. E alla fine a pagare sono i cittadini, stanchi di vedere promesse disattese e alleanze che si sbriciolano al primo ostacolo. È un film già visto, e non una volta sola.
La verità è semplice: in politica, come nello sport, si può anche perdere. Ma si deve perdere con dignità. Perdere senza rinnegare sé stessi. Perdere senza svendersi. Perdere, se serve, per salvare un’identità. Perché un’identità chiara può diventare forza nel tempo, può costruire consenso duraturo, può dare futuro. Una vittoria ottenuta barando, invece, si sgretola subito dopo il fischio finale.
Abbiamo bisogno di governi che durino. Che nascano su basi solide. Che abbiano il coraggio di affrontare le sfide, non solo di sopravvivere. E tutto questo può esistere solo se la coerenza torna a essere un valore.
Vincere è importante, certo. Ma non tutto ciò che porta alla vittoria è giusto. Non vale barare, non vale mentire, non vale allearsi con chi è lontano anni luce solo perché i numeri lo suggeriscono. Una politica così non è credibile. E non è utile.
Meglio perdere da soli che vincere contro sé stessi. Meglio perdere con coerenza che governare senza direzione. Perché la vera vittoria è un Paese che torna a fidarsi della politica. E per conquistare quella fiducia, bisogna meritarla. Non truccare la partita.