Dobbiamo essere tolleranti con gli intolleranti?

Viviamo in un tempo in cui la tolleranza è considerata uno dei valori più importanti della nostra società. È ciò che ci permette di convivere pacificamente pur nelle differenze, di rispettare opinioni, credenze e stili di vita anche molto distanti dai nostri. È alla base della democrazia e di ogni società pluralista. Tuttavia, questa idea nobile e apparentemente semplice nasconde un problema profondo: cosa succede quando qualcuno sfrutta proprio la tolleranza per diffondere intolleranza? Quando una voce usa la libertà di parola non per dialogare, ma per negare quella stessa libertà agli altri?

A questa domanda, tutt’altro che teorica, ha risposto con straordinaria lucidità il filosofo Karl Popper nel 1945, nel suo libro La società aperta e i suoi nemici. In quell’opera, Popper formula un’idea divenuta famosa con il nome di “paradosso della tolleranza”. In poche parole, Popper afferma che se una società è disposta a tollerare anche l’intolleranza illimitata, finisce per essere sopraffatta da essa. L’intolleranza, infatti, non cerca il confronto, ma tende a imporsi e a silenziare ogni dissenso. Se le viene concesso troppo spazio, alla fine distrugge le condizioni stesse che rendono possibile una società aperta e tollerante.

Le sue parole sono molto chiare: “La tolleranza illimitata deve portare alla scomparsa della tolleranza. Se estendiamo una tolleranza illimitata anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo pronti a difendere una società tollerante contro l’assalto degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti, e la tolleranza con essi.” Popper non propone certo una censura arbitraria o l’imposizione del pensiero unico, ma sottolinea la necessità di essere vigili: la tolleranza non può trasformarsi in ingenuità, né può diventare complice di chi vuole usare la libertà per distruggerla.

Non si tratta di impedire ogni opinione scomoda o provocatoria, né di mettere a tacere chi la pensa diversamente. Il confine che Popper traccia è preciso: finché le idee, per quanto radicali o impopolari, rimangono all’interno di un confronto pacifico, vanno difese. Ma quando diventano incitamento all’odio, negazione dei diritti fondamentali, istigazione alla violenza o rifiuto sistematico del dialogo, allora non è solo legittimo, ma doveroso, porre un limite. Non per vendetta, non per paura, ma per proteggere le basi stesse della convivenza.

È un messaggio che oggi appare più attuale che mai. In un’epoca in cui i discorsi d’odio si moltiplicano nei media, nei social network, nei contesti politici, e spesso si mascherano da semplice “libertà di espressione”, serve ricordare che la libertà è anche responsabilità. Essere tolleranti non significa accettare tutto. Significa difendere uno spazio comune in cui ogni persona possa esprimersi, ma anche impedire che questo spazio venga invaso da chi vuole trasformarlo in terreno di esclusione e sopraffazione.

Popper ci invita, insomma, a una forma di tolleranza matura e consapevole. Una tolleranza che non ha paura di dire “no” a chi rifiuta il dialogo e i principi fondamentali della convivenza civile. Perché la tolleranza non è debolezza: è una forza che va protetta. E per farlo, a volte, serve anche il coraggio di stabilire dei limiti chiari. Altrimenti rischiamo che un giorno l’unica voce rimasta sia proprio quella dell’intolleranza.

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