In questi giorni, mentre si avvicina il referendum dell’8 e 9 giugno 2025, assistiamo al solito spettacolo della doppia morale. Alcuni esponenti della sinistra, opinionisti, influencer e persino testate giornalistiche che si definiscono “progressiste”, accusano chi sceglierà legittimamente di non andare a votare di essere nemico della democrazia, disinteressato alla cosa pubblica, persino irresponsabile.
Il tono è spesso paternalistico, quando non addirittura aggressivo: si parla di “dovere civico”, di “difesa della Costituzione”, come se l’unica forma di partecipazione democratica fosse la presenza alle urne a ogni costo, e come se l’astensione fosse sinonimo di ignoranza o menefreghismo.
Ma davvero hanno dimenticato così in fretta la storia recente? O fanno finta di dimenticare?
Nel 2003, in occasione del referendum del 15 e 16 giugno, fu proprio un partito di sinistra, i Democratici di Sinistra (DS), a promuovere attivamente l’astensione. E non lo fecero in silenzio o con imbarazzo, ma con manifesti pubblici, slogan chiari e campagne ben visibili, come quello che campeggia ancora oggi nei nostri archivi: “NON votare un referendum inutile e sbagliato è un diritto di tutti: lavoratori e non”.
Non un invito al voto consapevole, ma un invito esplicito a non votare. Una scelta politica, ponderata e difesa pubblicamente, che allora non fu vista come un attacco alla democrazia, ma come uno strumento previsto dalla Costituzione, e dunque legittimo.
La stessa Costituzione che oggi molti brandiscono come uno scudo contro chi fa esattamente la stessa cosa: scegliere di non votare per esprimere un dissenso. Perché sì, nel caso dei referendum abrogativi, il non voto è parte del meccanismo democratico, non una sua negazione. Il quorum del 50% più uno serve proprio a misurare quanto la questione sia sentita dal corpo elettorale: se l’astensione prevale, il messaggio è chiaro – non c’è un mandato sufficiente per abrogare la legge in questione. È la regola del gioco, scritta nero su bianco.
La domanda allora è: cos’è cambiato in questi 20 anni? Perché un comportamento che nel 2003 era considerato democratico, oggi viene descritto come pericoloso, vile o addirittura antidemocratico?
La risposta è semplice, e non fa onore a chi oggi alza il dito accusatore: è cambiata la convenienza politica. All’epoca, l’astensione favoriva la posizione della sinistra. Oggi, potrebbe favorire chi la pensa diversamente. E allora, ecco il ribaltamento morale: ciò che era giusto diventa sbagliato, ciò che era legittimo diventa un tabù. Ma la democrazia non è a geometria variabile, e la coerenza dovrebbe essere un principio, non una strategia.
Chi oggi si scandalizza per l’astensione dovrebbe avere l’onestà di riconoscere che l’uso dell’astensione come strumento politico è sempre esistito, anche a sinistra. E che il rispetto delle regole democratiche vale sempre, non solo quando fa comodo.
Predicare bene e razzolare male non è un vizio nuovo, ma almeno abbiate il pudore di non fare la morale a chi, oggi, fa la stessa scelta che voi avete fatto ieri.